Recenti dati indicano che le infezioni urogenitali sostenute da batteri, funghi, virus e protozoi contribuiscono al 15% del fattore di infertilità maschile.

Un’attenta analisi della letteratura scientifica dimostra come la bacteriospermia può sicuramente giocare un ruolo importante nell’infertilità maschile raggiungendo in taluni casi una prevalenza addirittura dimostrata da alcuni studi dell’80%.

I dati oggi a disposizione indicano che la bacteriospermia è in grado di influenzare in maniera significativa il normale stato di fertilità innescando un importante processo infiammatorio con sovvertimento del network citochinico locale in grado di stimolare un’esasperata risposta immune locale che associandosi ad incontrollata produzione di specie reattive dell’ossigeno sono responsabili di: alterazione della spermatogenesi, diminuita motilità degli spermatozoi, alterata reazione acrosomiale, alterazione della morfologia degli spermatozoi, aumento dell’indice di frammentazione del DNA, formazione di anticorpi antisperma.

La maggior parte di queste infezioni del tratto genito-urinario rimanere asintomatica, portando quindi ad un dilemma se trattare questi pazienti o no.

Numerose evidenze scientifiche, nel corso degli anni, hanno ampiamente dimostrato il rationale di utilizzo dei Probiotici per la prevenzione ed il trattamento di numerose affezioni.

Il Termine Probiotico venne utilizzato per la prima volta all’inizio del secolo scorso dal premio nobel Elie Metchnikoff che, in seguito ad alcuni studi osservazionali, aveva avanzato l’ipotesi che, la longevità dei pastori caucasici, potesse essere riconducibile all’assunzione di alimenti contenenti batteri lattici vivi.

Queste sue osservazioni diedero vita ad una lunga serie di studi e ricerche scientifiche volte a studiare la composizione del microbiota intestinale umano ed al potenziale impiego di ceppi batterici ad azione probiotica ovvero in grado di stimolare e garantire il naturale benessere del nostro organismo.

La definizione di Probiotici, prevista dalle attuali linee guida pubblicate dal Ministero della Salute, è quella adottata nel 2001 dall’Expert Consultation FAO/WHO. Essa definisce i probiotici come “microorganismi vivi e vitali che, se consumati in adeguate quantità, come parte di un alimento o di un integratore, conferiscono benefici alla salute dell’ospite”.

Le stesse linee guida definiscono Alimenti/Integratori con Probiotici quelli che contengono microorganismi, in numero sufficientemente elevato, in grado di raggiungere l’intestino, moltiplicarsi ed esercitare un’azione benefica per lo stato di salute/benessere dell’uomo.

Da un’attenta desamina della letteratura scientifica internazionale si rileva un numero sempre crescente di microorganismi considerati probiotici.

Allo stato attuale, l’attività probiotica è stata riconosciuta soltanto per specifici ceppi.

Una delle caratteristiche fondamentali che deve possedere un probiotico è la specificità del ceppo batterico in esso contenuto.

A tal proposito, da un’attenta lettura dei documenti redatti dal FAO/WHO (2001- 2002), si evince come questa caratteristica risulti essere assolutamente necessaria e che, la scelta dei ceppi da impiegare nelle preparazioni probiotiche, debba seguire un meticoloso processo di selezione che abbia come obiettivo di garantire l’identità tassonomica, le specifiche caratteristiche fenotipiche, la sicurezza di impiego e la loro potenziale efficacia.

I microorganismi batterici, per essere considerati probiotici, devono soddisfare diversi altri requisiti: essere sicuri per l’impiego nell’uomo, essere attivi e vitali a livello intestinale in quantità adeguata in modo da espletare gli effetti benefici osservati negli studi di efficacia, essere capaci di formare colonie il più possibile permanenti nel tempo ed infine essere in grado di conferire un beneficio all’organismo.

L’azione di un probiotico e la risposta terapeutica che ne deriva dipendono strettamente dall’interazione tra le sue attività funzionali metaboliche e quelle dell’ospite.

Gli studi confermano che esse risultano essere, quindi, ceppo-specifiche.

L’importanza della ceppo-specificità è considerato uno dei requisiti fondamentali per l’ottenimento di una risposta terapeutica efficace, come documentato dalla FAO e dall’OMS.

Pertanto, alla luce di queste osservazioni, il trattamento, sia di condizioni patologiche intestinali che extraintestinali con probiotici, non può in nessun modo prescindere dall’esatta tipizzazione tassonomica e dalla quantità di ceppi batterici somministrati.

Alla luce di tutti gli studi fin ora pubblicati, si evince che, per alcune specifiche condizioni patologiche, i probiotici trovano un reale rationale scientifico d’impiego mentre, per altre, non è stata ancora del tutto chiarita e validata l’efficacia terapeutica.

Per molti anni i ricercatori hanno consigliato l’utilizzo dei probiotici quasi esclusivamente per il trattamento delle gastroenteriti, limitandone l’impiego in altre condizioni patologiche, in virtù della ridotta conoscenza delle loro capacità funzionali e dei loro meccanismi d’azione.

Allo stato attuale, le nuove evidenze scientifiche hanno consentito di far luce su nuove potenziali capacità dei probiotici, ampliandone il campo di utilizzo.

Alcuni ceppi batterici hanno, infatti, dimostrato la capacità di aderire strettamente alla mucosa intestinale antagonizzando l’invasione di microorganismi patogeni non soltanto grazie ad un meccanismo di competizione territoriale ma grazie anche alla produzione di specifiche sostanze ad azione antibatterica e antifungina.

In tal modo, essi sono capaci di correggere il dismicrobismo intestinale riscontrabile in diverse condizioni patologiche.

Altri ceppi batterici probiotici possiedono la capacità di modulare la risposta del nostro sistema immunitario influenzando direttamente il network citochinico.

Altri ancora, contribuiscono in maniera significativa al mantenimento del fisiologico pattern di permeabilità della mucosa intestinale.

Infine, risulta evidente il loro ruolo nei processi metabolici di proteine, glucidi e grassi oltre che nella sintesi di specifiche vitamine utili al buon funzionamento del nostro organismo.

In relazione ai sempre più crescenti dati della ricerca, la batterioterapia con specifici ceppi batterici probiotici di derivazione umana e adeguatamente selezionati può contribuire a ristabilire un adeguato ecosistema urogenitale femminile e maschile contribuendo a ridurre uno dei cofattori importanti responsabili di infertilità.

Probiotici e Sterilità Maschile